Tasche
Che è sabato lo capisco subito per la sveglia sul comodino, che segna le undici e di solito non lo fa mai, e le voci dei vicini che toccano le pareti.
“Cosa hai da fare oggi?”
“Niente” ti dico, anche se non è vero ma vicino a te la verità è relativa se non ci penso.
“Niente di niente?” ripeti tu, con quella cadenza che ogni tua frase è una domanda e io la risposta non ce l’ho. Mi pare di essere a teatro, e intanto un vicino passa dietro al vetro.
Le gambe abbandonate a un lato del letto, le labbra sottili e la luce dappertutto. Sei bello perché quando respiri la tua pelle si sorprende, e a volte pure io.
Poi dal nulla ridi e non lo nascondi. Ti stringo la testa che potrebbe scoppiare, vorrei vederti le ossa senza distruggerti, per non fraintenderti.
Le tue gambe raggiungono le mie, le tue braccia diventano cuscino e tu mi baci le guance come si faceva alle elementari. Con gli occhi chiusi e la fiducia.
“Allora facciamo qualcosa” e mi guardi.
Sei bello perché dici cose da giganti, entri nelle stanze, giri sigarette, ti lamenti e poi mi guardi, e io vorrei essere più vera di un punto. Invece vado solo a capo e ti dico ok.
“Ma io e te?” ti chiedo e quasi mi cadono le parole.
Siamo nudi in mezzo al niente e a inizio sabato. Nel mio letto ci sei finito perché eri stanco, io perché ti stavo aspettando. Lontano da noi la tua maglia nera per terra, le mie scarpe bordeaux e poi certi fogli, troppi libri, delle scatole, due cinture e alcuni debiti.
“Sì io e te”. Sospiri piano, ti muovi un poco.
“Noi” aggiungi dopo, disattivando una sveglia, recuperando la tua maglia e il coraggio. Sei bello perché quando mi guardi i tuoi occhi si allargano e il bianco tutto attorno sembra cielo.
In ginocchio sopra il letto mi riporti alla felicità. Le tue labbra sopra collo, il pavimento è una piscina senza l’acqua e i vicini stanno preparando da mangiare.
Recupero una maglietta, leggo una mail e sbircio fuori per capire.
“Allora?”
“Allora non lo so”
Sei bello perché quando sbuffo se avanza l’aria la raccogli e diventa zucchero filato.
“Dai, prepariamo un dolce!” — ti alzi.
I tuoi passi in mezzo al mondo, quasi un eco a una risata.
“Facciamo un viaggio” — infili i jeans.
La mappatura dei tuoi nei, per cercarci le mie costellazioni.
“O vuoi restare a letto?” — ti fermi.
I tuoi gomiti che sono spigoli, e confini per gli abbracci.
“Usciamo al parco” — guardi fuori dalla finestra.
Le rose tra i tuoi capelli, che di notte non lo sai ma sbocciano.
“Andiamo al cinema?” — prendi il cellulare.
Quella cicatrice sulla fronte, e i miei baci alla dogana.
“Anzi no, lasciamo stare..” — e mi guardi.
Il rosso della tua barba, in cui si incastra a volte il sole.
La prima volta che ti ho visto non l’ho detto a nessuno. Eri un sogno così piccolo che poi sono tornata a piedi, ché sul 18 ti avrei perso. Eri un sogno così piccolo che ci stavi in una tasca.
Chissà che giorno era, chissà com’eri tu.
Che era sabato l’ho capito quando è finito, mi hai dato un bacio, mi hai detto adesso vado e sulle scale hai incrociato il vicino.
Sei bello e l’ultima volta che ti ho visto sembrava quasi primavera o viceversa.
Sei bello e adesso anche se ci provo non ci stai più in tasca.