Sterno (sai che finirò su Marte?)

Espérance Hakuzwimana
3 min readSep 24, 2018

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via

Mi hai detto Sai che finirò su Marte?
Ma non ti ho capito subito perché mi è entrata la notte in testa e mi ero già distratta.
Questa stanza è troppo grande, questa sera è troppo corta e la tua voce mi ricorda già qualcosa.
Sì, il mio nome, in una targhetta larga così, andrà su Marte. Figo, no?
Mi concentro sulle tue dita e lo sterno inizia a farmi male. Cerco un orologio, mi chiedo dove sia finito il sole e mi fa strano respirare.

Camera tua dà su una via che sa di calma e di more. La prima volta, che poi era l’altro giorno, ci ho pensato fortissimo. Volevo dirtelo, poi era stupido e ho preferito lasciare stare.
Io di Marte non so niente ma se è per questo neanche so com’è là fuori.
Però ho registrato la prima volta che ti sei presentato, il suono assurdo delle tue ossa e la tua voce pazzesca.
E ti ho chiesto una rivincita quando agosto stava cadendo, un abbraccio in via Roma e la storia della tua vita in una notte come questa.
Poi hai incartato un regalo che mi avevi già dato anni fa, avevo ancora la notte in testa e ogni parola che mi lasci addosso è un risarcimento per le vite passate.

Ci parliamo sopra da ore e i pensieri diventano strati che diventano coperte che ci proteggono dagli incubi, dalle cose che abbiamo lasciato andare e dai “andrà tutto bene” che io non so scrivere ma tu disegnare.
Seduto per terra, in linea con le piastrelle e il caffè e latte prima di andare a dormire, sei un bambino sperduto che non si è fatto trovare.
C’è un momento per tutto, mi dici a un certo punto. Ma io il punto del discorso l’ho perso da un po’ e guardo piano come respiri senza fare rumore. E no, non abbiamo voglia di andare dormire.
Ci parliamo sopra da ore e il letto è una nave che supera ostacoli che sono miracoli che rinascono coi baci, con le chiamate di tua madre e con le lotte che non facevo da anni, con le risate che scavalcano i giorni.

Camera tua dà su una via che sa di albe e di bucato a stendere. L’ultima volta, che poi era l’altro giorno, ci ho pensato tantissimo. Volevo dirtelo, ma era scontato e ho preferito darti un bacio.
Io di Marte non so niente ma se è per questo neanche di com’è là fuori.
Però so come ridi quando sei felice, come arricci il naso quando ti diverti e quanto ti imbarazzi a volte; ché ti appaiono dei tagli minuscoli sulle guance ma non ci esce sangue, solo rose bianche e fari accesi, cose buone e sogni arresi.
E ti ho contato le costole per essere sicura, i nei sulla testa per ritrovarti al buio e al tuo tatuaggio ho sussurrato che si può fare.
Poi hai spento la luce e ti ho visto lo stesso, avevo ancora la notte in testa e questo silenzio è una cura per i no che ci hanno fatto dire basta.

So che è l’alba perché ho improvvisamente sonno e qualcosa che assomiglia alla pace mi riempie lo sterno. Vorrei sognare Marte, l’orto di mio padre, il mare e pure te. Invece è già giorno, di mattina dimentico i nomi e quando te ne vai la veglia è un’idea che mi spaventa.
Invece è già giorno
di mattina non so chi sono
ma quando mi saluti
la vita è un’idea,
e non mi spaventa.

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