Ingrata (per fortuna che io ho me)

Espérance Hakuzwimana
4 min readNov 13, 2019

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Quando mi dicono ingrata penso ai tuoi occhi annacquati e a come ti ho detto in silenzio che ti avrei amata per sempre. Ci ho impiegato 14 anni a capirlo ma già a 6 e mezzo avevo un cuore per te. Da parte, in più, perché non si sa mai; perché sui diari segreti non ci stava e sotto ai letti pieni di polvere la paura non mi lasciava lo spazio.

L’ultima cosa che mi ha detto a voce uno dei miei due padri è stata “cavatela”. Non te l’ho più raccontato perché stavo piangendo troppo e non avevo i mezzi per arrivare da te. Li confondo da quando ho 21 anni e adesso dopo 7 mi vengono in mente mille parole ma la mia lingua si trasforma in lava che si trasforma in sale e non riesco a mandarli giù. Morti e vivi, sani e salvi, miei e non miei.
Chissà se le cose che ho dentro a voce alta farebbero paura anche a chi non le sa per niente.

Quando mi dicono irriconoscente sgrano gli occhi grandi che mi hai lasciato e mi ripeto dentro che di verità ce ne sono molte ma di vita solo una. E la mia l’ho guardata in faccia in una stanza di ospedale dopo un’anestesia stupida e la rabbia di una madre che non era mia, e comunque lontanissima, impossibile, chiusa a chiave dentro sé.

Sono stata messa al mondo per essere vita e non solo figlia, e non solo grazia, miracolo, dono, aspettativa da rispettare, progetto da essere e mai diventare.
Sono stata messa al mondo contro il parere di tutti e di un passato che sa di guerre sui confini, e poi rimessa al mondo ancora e ancora e ancora contro le leggi internazionali, per un’emergenza invalicabile con quei “poi si vedrà” poco convinti con pochi presenti. Cause di conseguenze che nessuno ha raccontato perché forse è meglio così; mi sono detta in camera mentre fuori pioveva, non ho detto a una camera che mi riprendeva.

Quando mi dicono ingrata penso alla parola gratitudine e al peso che un certo tipo di mondo ha scelto di darle togliendomi il fiato e i pensieri. Agli armadi vuoti di scheletri ma pieni di richieste, di parole sbagliate, di conferme, di desideri distorti e di favole che raccontarsele a voce alta mai, ma dentro, in fondo, sempre per crogiolarsi, per credersi i migliori, a prescindere nel giusto, sempre e solo con la coscienza a posto.

Ma te che sei sempre stata lontanissima e dentro, periferia e mondo, lo sai, e a me basta. Mi basta madre mia e delle mie parole, mi basta perché loro non lo sanno che cosa siamo noi. Non lo vedono, non lo sentono e non lo capiranno.
Potranno leggermi, vedermi in tv, sentirmi alla radio, incontrarmi sul 49, scrivermi, accusarmi, svilirmi, puntarmi il dito contro, darmi della vittima, della pazza, della stupida ma loro comunque non lo sanno. E va bene così.

Io figlia ingrata di chi per anni non mi ha fatto essere e quando ci ho provato mi ha rimosso come un trauma. Gli altri giudici di vite che non sanno, di lividi che non hanno visto, di smagliature di cui non sanno il nome e di scelte per sopravviversi a una follia senza sicura, senza chiavi di lettura.

Per fortuna che io ho me, un amore con la enne maiuscola, una famiglia con cinque accenti diversi e i libri che mi regalo ogni volta in cui mi vieni in mente madre e non ti posso stringere.
Meraviglia tra le meraviglie, gioia senza limite e vita della mia vita precedente e futura. Grazia, forza indistruttibile che mi scorre dentro e mi fa ridere quando mi chiedono bagni di umiltà, di gratitudine.

Io figlia irriconoscente di chi non mi ha avuto la capacità di mettere da parte i propri limiti. Gli altri accecati dal diritto di dire la loro, sempre e solo la loro, pure davanti all’evidenza che porto nei documenti firmati da terzi, negli occhi che mi hai lasciato tu e che si potrebbe leggere anche nel sangue.

Quando mi dicono ingrata adesso rispondo sì; perché la gratitudine io la dedico a chi se la merita. I sentimenti stanno sulla bocca di tutti ma per il cuore è un po’ diverso. Per fortuna, aggiungo.
Altrimenti sai che guaio?

Io figlia incredibile perché messa al mondo troppe volte e in ogni nascita mi sono cresciuta sola nell’errore, piena nell’amore. Gli altri spettatori di un frammento, morti ogni volta in cui non sono stati in grado di ascoltare, di rispettare e lasciare andare.

Quando mi dicono irriconoscente, cattiva, ingiusta, incapace di amare, egoista, esagerata, dura, antipatica, fastidiosa adesso è solo un complimento. Perché vuol dire che ho imparato. A non avere vergogna della mia storia, paura delle mie scelte, del mio percorso e di tutte le conseguenze.

Io figlia di una meraviglia tra le meraviglie, con un nome per cognome e una lingua come madre. Gli altri dispensatori di consigli non richiesti, di sentimenti mai nostri e di un’arroganza che a sentirla fa paura, a guardarla ridere e pena a tempi alterni.

Liberi di scrivere e di pensare, loro.
Finalmente libera di essere e diventare, io.

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